Questo è il progetto di Livio Neri, Andrea Serri e di un gruppo di amici-istruttori che credono in un minibasket e in una pallacanestro diversa, fatta di amicizia, rispetto ed agonismo, che ti insegna i giusti comportamenti nella vita prima che in palestra. Astenersi perditempo.



venerdì 29 luglio 2011

Una piccola lezione di storia



(nella foto Luca Bezzi, uno dei tanti giocatori usciti dal Basket 84 che indossa la casacca storica bianca e rossa e Nicola Caroli, giovane di belle speranze con la divisa Basket Ravenna Piero Manetti. L’iniziativa serviva per raccogliere fondi e ricordare quell’avventura)

La storia che sto per raccontare ve la possono narrare anche gli altri protagonisti della vicenda. E comunque, se non vi fidate delle fonti orali, ci sono comunque quelle scritte. Infatti, nel libro di Bottaro, Petruio, Strocchi (1990), Storia del basket a Ravenna, Longo editore, Ravenna, pag. 116 e seguenti sono raccontate queste vicende.
Io, all’epoca, compivo 13 anni (ero alto 1,78) ed avevo appena terminato la mia prima stagione agonistica.
Ma andiamo per ordine. Ad ottobre 1983 decisi di andare in palestra per la prima volta, francamente solo per fare un favore al mio compagno di banco, Marco Genovese, oggi stimato assicuratore, il quale mi ripeteva: “Ma sei così alto, perché non vieni a giocare a basket?”. In quel periodo avevo un rapporto diverso con lo sport: con la motivazione più grande del mondo, infatti, avevo iniziato a giocare a calcio a Porto Fuori. Da settembre a gennaio, caldo, pioggia o gelo a scelta, mi allenavo come un matto. Ma non giocavo mai un minuto in partita, nemmeno in amichevole. Tutte le volte che arrivavo al campo il Mister mi diceva “Oggi tanto giochiamo tutti!”, ma io scaldavo sempre la panchina. Questi episodi sono talmente vividi nella mia mente che come coach, 5 minuti di gioco oggi non li nego mai a nessuno; se un bambino si è allenato al massimo delle sue possibilità e si è meritato la convocazione deve vedere il campo almeno un po’. Certo, non ero Maradona, ma che danno potevo fare in una squadra che perdeva regolarmente?
Alla fine fui costretto a smettere. Così, per paura di scottarmi di nuovo, decisi di prendere le distanze dallo sport. I miei amici, però, continuavano a tirarmi da una parte o dall’altra per farmi provare le loro discipline sportive preferite, ma il più constante fu Marco, che oggi ringrazio pubblicamente.
Mi presi un periodo sabbatico da gennaio a ottobre e poi provai il basket. Iniziai a giocare e fu amore a prima vista. Il mio coach era Mingo e quell’anno vincemmo il campionato. Non ce ne rendemmo nemmeno conto, ma contava solo stare insieme. I miei amici diventarono quelli della palestra, la domenica mattina smisi di andare alla messa delle 10:30, optando per quella delle 8:30, perché alle 11 su Italia 1 c’era l’Nba con Dan Peterson, i 76ers, Doctor J, Magic e compagnia che nel frattempo erano diventati i miei idoli. Superbasket era diventato il mio compagno di merende.
Dopo quella stagione esaltante (1983-1984) mi ricordo benissimo (anche perché io, Giovanni Cavallucci e Sergio Casadio noleggiammo un risciò e ci schiantammo contro una moto durante la cena alla Pizzeria La Betulla a Lido Adriano!) che cambiammo squadra.
Cosa era successo?
Molto semplicemente all’interno del Ravenna Basket (si chiamava così) iniziarono i problemi. Da una parte una serie di dirigenti (che nessuno aveva mai visto) che volevano puntare solo sulla prima squadra (che all’epoca era in C1), dall’altra le mitiche figure (almeno per me) di De Lorenzi, Ricci, Magri, Soglia-padre e Vandini che invece volevano potenziare il settore giovanile. All’epoca ai ragazzi delle giovanili, per fare un esempio, venivano date solo le canottiere per le partite (i calzoncini erano tutti diversi!) e la mia è ancora a casa dai miei genitori: gialla e blu con il numero 12 (e per me era più bella di quella dei Lakers!). I dirigenti che ho menzionato sopra, 2 dei quali non sono nemmeno più fra di noi, spinti dalla passione e stanchi di vedere soldi buttati per giocatori semiprofessionisti fondarono una nuova società: il Basket 84 Ravenna, 84 come l’anno di nascita (anno anche dell’uscita di Jump dei Van Halen, ecco perché sono affezionato al vinile!).
Noi andavamo in giro come un gruppo di straccioni senza materiale tecnico adeguato, mentre la Società Ravenna Basket (ma questo lo venni a sapere dopo ed è anche documentato nel libro citato) spendeva 35 milioni di lire (all’epoca erano soldi veri e tanti) per “Cippo” Bastasini, onesto lavoratore dell’area dei 3 secondi. Fu quindi inevitabile che molti di noi seguissero coach Mingo al Basket 84 e continuammo, così, a giocare insieme. Anzi, la cosa fu fatta talmente a misura di ragazzo che l’anno dopo arrivarono nuove divise (bianche e rosse, uguali a quelle del ragazzo nella foto) e nuove tute, che tuttora conservo gelosamente. Per me sono ricordi incredibili, non ho mai scambiato nemmeno un maglietta bucata, tutto quello che ho indossato è nei miei cassetti, a ricordo di una esperienza favolosa. È nata così, un po’ per sfida, un po’ per fare le cose per bene e in maniera diversa, questa nuova società il cui fine era quello di crescere, attraverso lo sport, giovani competenti ed educati. Progetto focalizzato su Ravenna per i ragazzi di Ravenna e con gli allenatori di Ravenna. Molti avevano previsto morte certa in pochi mesi ed invece la storia raccontò un finale diverso.
Quella prima esperienza mi ha formato molto e a posteriori, visto che io sto facendo lo stesso, ammiro il coraggio di quei dirigenti e di quegli allenatori. Tre settimane fa (a dimostrazione che i legami che costruite adesso rimangono per sempre) è venuto a cena da me Massimo Amici, uno degli allenatori - scissionisti assieme al mitico Giorgio “Asa Brasa” Brasini. Gli ho chiesto: “Massimo, ma spiegami una cosa, perché ve ne andaste dal Ravenna Basket?”. Lui mi ha guardato è mi ha detto una cosa che porterò sempre con me: “Perché nella vita, quando si ha il culo di incontrare persone che la pensano come te, è inevitabile fare qualcosa assieme. Fino a quando ci siamo riusciti l’abbiamo fatto con Dainese e Manetti, poi, vista la voglia di grandeur e di ambizioni a salire, l’abbiamo fatto insieme a chi ci credeva”.
Tornando ai miei ricordi, iniziammo quindi a giocare per il Basket 84 Ravenna, facemmo i nostri campionati ed il nostro percorso formativo ed educativo. Ci togliemmo le nostre soddisfazioni, in termini di vittorie e riconoscimenti, ed è stato bellissimo continuare a giocare insieme anche finito il nostro percorso nelle giovanili.
Già, perché la storia, come tutte le storie, ha un finale, se a lieto fine o meno decidetelo voi.
Dunque: il Basket 84 iniziò a vivere e si tolse parecchie soddisfazioni. Io e Porfiri alla Virtus Bologna (in realtà c’era spazio anche per Casadio, ma i suoi genitori non vollero), il gruppo del ‘74 alle finali nazionali, più qualche campionato regionale in bacheca. Una bella soddisfazione per i dirigenti e gli allenatori che avevano creduto nei ragazzi di Ravenna e che tanta fatica avevano fatto per formarci.
Il Ravenna Basket, che andò a giocare a Cervia per motivi di impianto de facto rescindendo i legami con la città, intraprese in effetti una strada di grandeur, passando, senza mai avere un giocatore di Ravenna fra i protagonisti della rosa, dalla C1 alla A2, salvo poi chiudere e vendere i diritti a Modena. Strutture piccole (le stesse di oggi, leggi PalaCosta), sponsor in difficoltà, scarso appeal sulla città misero la parola fine al termine del campionato 1991-1992.
E nella successiva stagione sportiva 1992-1993 quale fu la prima squadra di Ravenna a partecipare al Campionato di Promozione con tutti i ragazzi usciti dal proprio vivaio?
Fu il Basket 84, che nel frattempo aveva cresciuto fino agli Juniores intere classi, che per far giocare i giovani aveva iniziato anche un percorso Senior partendo dalla Prima Divisione due anni prima. Grazie alla maturazione dei propri atleti aveva già conquistato il diritto a disputare il campionato di Promozione. Con questa politica, crescita dei giovani della città in un contesto domestico, arrivammo fino alla C2 nella stagione 1997-1998. Poi si tornò a parlare di ambizioni, i dirigenti storici mollarono e i ragazzi di Ravenna scomparvero piano piano dal roster della prima squadra. Le fondamenta dell’attuale Basket Ravenna, visto che quello di Manetti chiuse, sono nel Basket 84, tanto che in sede, sotto un mucchio di foto, se ne trova una in particolare: quella della stagione 1992-1993, dove, accanto ai nomi, c’è una scritta che mostra tutto l’orgoglio di un progetto: “Il Basket a Ravenna riparte da qui” , divisa blu e bianca (come quella attuale e l’84 stampato sopra) e via i nomi dei miei amici, ma non il mio: quell’anno giocavo a Castrocaro. Poi tornai da capitano, ma questa è un’altra storia.
Non è detto che la storia si ripeta, anzi auguriamo al Basket Ravenna di non fare la fine della creatura di Manetti costretta ad emigrare prima e a chiudere poi, ma sicuramente ricreare lo spirito straordinario di quella fantastica avventura chiamata Basket 84 questo ci interesserebbe molto. Investire e lavorare dalla base per tutti i ragazzi di Ravenna: questa era la mission del Basket 84 e questo è quello che faremo alla Compagnia dell’Albero.

(Questo post è dedicato a chi ha vissuto quella avventura ed oggi non è più con noi per raccontarla. In particolare voglio ricordare Manuel Tulipano, classe 1970, prematuramente scomparso qualche anno fa in un incidente stradale. Io ’71, lui ’70: per me era come Meneghin. Quando mi misero a giocare con i più grandi non mi pareva vero. E poi i 3 contro 3 mitici alla Duna degli Orsi.
Tuli, in questo momento, vorrei avere metà della tua forza e del tuo coraggio!)

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