Questo è il progetto di Livio Neri, Andrea Serri e di un gruppo di amici-istruttori che credono in un minibasket e in una pallacanestro diversa, fatta di amicizia, rispetto ed agonismo, che ti insegna i giusti comportamenti nella vita prima che in palestra. Astenersi perditempo.



venerdì 29 luglio 2011

Una piccola lezione di storia



(nella foto Luca Bezzi, uno dei tanti giocatori usciti dal Basket 84 che indossa la casacca storica bianca e rossa e Nicola Caroli, giovane di belle speranze con la divisa Basket Ravenna Piero Manetti. L’iniziativa serviva per raccogliere fondi e ricordare quell’avventura)

La storia che sto per raccontare ve la possono narrare anche gli altri protagonisti della vicenda. E comunque, se non vi fidate delle fonti orali, ci sono comunque quelle scritte. Infatti, nel libro di Bottaro, Petruio, Strocchi (1990), Storia del basket a Ravenna, Longo editore, Ravenna, pag. 116 e seguenti sono raccontate queste vicende.
Io, all’epoca, compivo 13 anni (ero alto 1,78) ed avevo appena terminato la mia prima stagione agonistica.
Ma andiamo per ordine. Ad ottobre 1983 decisi di andare in palestra per la prima volta, francamente solo per fare un favore al mio compagno di banco, Marco Genovese, oggi stimato assicuratore, il quale mi ripeteva: “Ma sei così alto, perché non vieni a giocare a basket?”. In quel periodo avevo un rapporto diverso con lo sport: con la motivazione più grande del mondo, infatti, avevo iniziato a giocare a calcio a Porto Fuori. Da settembre a gennaio, caldo, pioggia o gelo a scelta, mi allenavo come un matto. Ma non giocavo mai un minuto in partita, nemmeno in amichevole. Tutte le volte che arrivavo al campo il Mister mi diceva “Oggi tanto giochiamo tutti!”, ma io scaldavo sempre la panchina. Questi episodi sono talmente vividi nella mia mente che come coach, 5 minuti di gioco oggi non li nego mai a nessuno; se un bambino si è allenato al massimo delle sue possibilità e si è meritato la convocazione deve vedere il campo almeno un po’. Certo, non ero Maradona, ma che danno potevo fare in una squadra che perdeva regolarmente?
Alla fine fui costretto a smettere. Così, per paura di scottarmi di nuovo, decisi di prendere le distanze dallo sport. I miei amici, però, continuavano a tirarmi da una parte o dall’altra per farmi provare le loro discipline sportive preferite, ma il più constante fu Marco, che oggi ringrazio pubblicamente.
Mi presi un periodo sabbatico da gennaio a ottobre e poi provai il basket. Iniziai a giocare e fu amore a prima vista. Il mio coach era Mingo e quell’anno vincemmo il campionato. Non ce ne rendemmo nemmeno conto, ma contava solo stare insieme. I miei amici diventarono quelli della palestra, la domenica mattina smisi di andare alla messa delle 10:30, optando per quella delle 8:30, perché alle 11 su Italia 1 c’era l’Nba con Dan Peterson, i 76ers, Doctor J, Magic e compagnia che nel frattempo erano diventati i miei idoli. Superbasket era diventato il mio compagno di merende.
Dopo quella stagione esaltante (1983-1984) mi ricordo benissimo (anche perché io, Giovanni Cavallucci e Sergio Casadio noleggiammo un risciò e ci schiantammo contro una moto durante la cena alla Pizzeria La Betulla a Lido Adriano!) che cambiammo squadra.
Cosa era successo?
Molto semplicemente all’interno del Ravenna Basket (si chiamava così) iniziarono i problemi. Da una parte una serie di dirigenti (che nessuno aveva mai visto) che volevano puntare solo sulla prima squadra (che all’epoca era in C1), dall’altra le mitiche figure (almeno per me) di De Lorenzi, Ricci, Magri, Soglia-padre e Vandini che invece volevano potenziare il settore giovanile. All’epoca ai ragazzi delle giovanili, per fare un esempio, venivano date solo le canottiere per le partite (i calzoncini erano tutti diversi!) e la mia è ancora a casa dai miei genitori: gialla e blu con il numero 12 (e per me era più bella di quella dei Lakers!). I dirigenti che ho menzionato sopra, 2 dei quali non sono nemmeno più fra di noi, spinti dalla passione e stanchi di vedere soldi buttati per giocatori semiprofessionisti fondarono una nuova società: il Basket 84 Ravenna, 84 come l’anno di nascita (anno anche dell’uscita di Jump dei Van Halen, ecco perché sono affezionato al vinile!).
Noi andavamo in giro come un gruppo di straccioni senza materiale tecnico adeguato, mentre la Società Ravenna Basket (ma questo lo venni a sapere dopo ed è anche documentato nel libro citato) spendeva 35 milioni di lire (all’epoca erano soldi veri e tanti) per “Cippo” Bastasini, onesto lavoratore dell’area dei 3 secondi. Fu quindi inevitabile che molti di noi seguissero coach Mingo al Basket 84 e continuammo, così, a giocare insieme. Anzi, la cosa fu fatta talmente a misura di ragazzo che l’anno dopo arrivarono nuove divise (bianche e rosse, uguali a quelle del ragazzo nella foto) e nuove tute, che tuttora conservo gelosamente. Per me sono ricordi incredibili, non ho mai scambiato nemmeno un maglietta bucata, tutto quello che ho indossato è nei miei cassetti, a ricordo di una esperienza favolosa. È nata così, un po’ per sfida, un po’ per fare le cose per bene e in maniera diversa, questa nuova società il cui fine era quello di crescere, attraverso lo sport, giovani competenti ed educati. Progetto focalizzato su Ravenna per i ragazzi di Ravenna e con gli allenatori di Ravenna. Molti avevano previsto morte certa in pochi mesi ed invece la storia raccontò un finale diverso.
Quella prima esperienza mi ha formato molto e a posteriori, visto che io sto facendo lo stesso, ammiro il coraggio di quei dirigenti e di quegli allenatori. Tre settimane fa (a dimostrazione che i legami che costruite adesso rimangono per sempre) è venuto a cena da me Massimo Amici, uno degli allenatori - scissionisti assieme al mitico Giorgio “Asa Brasa” Brasini. Gli ho chiesto: “Massimo, ma spiegami una cosa, perché ve ne andaste dal Ravenna Basket?”. Lui mi ha guardato è mi ha detto una cosa che porterò sempre con me: “Perché nella vita, quando si ha il culo di incontrare persone che la pensano come te, è inevitabile fare qualcosa assieme. Fino a quando ci siamo riusciti l’abbiamo fatto con Dainese e Manetti, poi, vista la voglia di grandeur e di ambizioni a salire, l’abbiamo fatto insieme a chi ci credeva”.
Tornando ai miei ricordi, iniziammo quindi a giocare per il Basket 84 Ravenna, facemmo i nostri campionati ed il nostro percorso formativo ed educativo. Ci togliemmo le nostre soddisfazioni, in termini di vittorie e riconoscimenti, ed è stato bellissimo continuare a giocare insieme anche finito il nostro percorso nelle giovanili.
Già, perché la storia, come tutte le storie, ha un finale, se a lieto fine o meno decidetelo voi.
Dunque: il Basket 84 iniziò a vivere e si tolse parecchie soddisfazioni. Io e Porfiri alla Virtus Bologna (in realtà c’era spazio anche per Casadio, ma i suoi genitori non vollero), il gruppo del ‘74 alle finali nazionali, più qualche campionato regionale in bacheca. Una bella soddisfazione per i dirigenti e gli allenatori che avevano creduto nei ragazzi di Ravenna e che tanta fatica avevano fatto per formarci.
Il Ravenna Basket, che andò a giocare a Cervia per motivi di impianto de facto rescindendo i legami con la città, intraprese in effetti una strada di grandeur, passando, senza mai avere un giocatore di Ravenna fra i protagonisti della rosa, dalla C1 alla A2, salvo poi chiudere e vendere i diritti a Modena. Strutture piccole (le stesse di oggi, leggi PalaCosta), sponsor in difficoltà, scarso appeal sulla città misero la parola fine al termine del campionato 1991-1992.
E nella successiva stagione sportiva 1992-1993 quale fu la prima squadra di Ravenna a partecipare al Campionato di Promozione con tutti i ragazzi usciti dal proprio vivaio?
Fu il Basket 84, che nel frattempo aveva cresciuto fino agli Juniores intere classi, che per far giocare i giovani aveva iniziato anche un percorso Senior partendo dalla Prima Divisione due anni prima. Grazie alla maturazione dei propri atleti aveva già conquistato il diritto a disputare il campionato di Promozione. Con questa politica, crescita dei giovani della città in un contesto domestico, arrivammo fino alla C2 nella stagione 1997-1998. Poi si tornò a parlare di ambizioni, i dirigenti storici mollarono e i ragazzi di Ravenna scomparvero piano piano dal roster della prima squadra. Le fondamenta dell’attuale Basket Ravenna, visto che quello di Manetti chiuse, sono nel Basket 84, tanto che in sede, sotto un mucchio di foto, se ne trova una in particolare: quella della stagione 1992-1993, dove, accanto ai nomi, c’è una scritta che mostra tutto l’orgoglio di un progetto: “Il Basket a Ravenna riparte da qui” , divisa blu e bianca (come quella attuale e l’84 stampato sopra) e via i nomi dei miei amici, ma non il mio: quell’anno giocavo a Castrocaro. Poi tornai da capitano, ma questa è un’altra storia.
Non è detto che la storia si ripeta, anzi auguriamo al Basket Ravenna di non fare la fine della creatura di Manetti costretta ad emigrare prima e a chiudere poi, ma sicuramente ricreare lo spirito straordinario di quella fantastica avventura chiamata Basket 84 questo ci interesserebbe molto. Investire e lavorare dalla base per tutti i ragazzi di Ravenna: questa era la mission del Basket 84 e questo è quello che faremo alla Compagnia dell’Albero.

(Questo post è dedicato a chi ha vissuto quella avventura ed oggi non è più con noi per raccontarla. In particolare voglio ricordare Manuel Tulipano, classe 1970, prematuramente scomparso qualche anno fa in un incidente stradale. Io ’71, lui ’70: per me era come Meneghin. Quando mi misero a giocare con i più grandi non mi pareva vero. E poi i 3 contro 3 mitici alla Duna degli Orsi.
Tuli, in questo momento, vorrei avere metà della tua forza e del tuo coraggio!)

lunedì 25 luglio 2011

Mettiamo i puntini sulle i (parte seconda)…




Ultimamente incontro persone che mi fanno un grande in bocca al lupo per la nuova avventura. E spiegato dei miei scudieri, del nuovo management e della nuova società mi dicono: e adesso?
Oggi parliamo di “e adesso?”.
Questo post potrebbe concludersi anche qui: adesso si parte e si lavora. Ma vale la pena anche spiegare cosa stiamo facendo. Tanto siamo in famiglia e di segreti non ce ne sono.
Per svolgere attività nell’ambito della Federazione Italiana Pallacanestro, che è il nostro obiettivo, e poter partecipare ai Campionati e Tornei federali bisogna compiere alcuni passi burocratici. Innanzitutto costituire la Società e questo è stato fatto: la Compagnia dell’Albero già esiste dal 1994, da qualche giorno è nata formalmente anche la sezione basket, con tanto di cda, segretario e presidente.
Una volta nati si deve chiedere l’affiliazione alla FIP e si fa comunicandole l’intenzione di fare attività giovanile; anche in questo caso la raccomandata per Roma è partita e stiamo aspettando che a giorni arrivi la dovuta risposta positiva.
Parallelamente è partito anche il discorso Centro Minibasket. Perché come ormai sapete l’attività è divisa in due parti. Dai 5 agli 11 si svolge in un Centro, dai 12 in poi in una Società Sportiva.
Stiamo raccogliendo tutta la documentazione necessaria da inviare sempre a Roma e contiamo di chiudere questa partita entro fine settimana.
Detta così sembra facile ma provate a pensare alla mole di telefonate, mail, raccolta di documentazione che ci sono dietro a queste semplici e necessarie operazioni. E ai costi che inevitabilmente devono essere sostenuti. Ma questo non è un problema per chi ha deciso, tanto tempo fa, di dedicarsi solo ed esclusivamente ai giovani: alla Compagnia dell’Albero le risorse finanziarie vanno, fortunatamente, tutte in direzione dei ragazzi, per cui non saranno pochi euro di affiliazione a spaventarci.
Già finora avrete capito come non sia esattamente una estate di vacanza ma ci sono altre tre cose che stiamo seguendo (e quando dico noi intendo io, Livio e lo staff della Compagnia, 2 impiegati e il Direttore).
La prima è la disponibilità delle palestre. Abbiamo fatto tutte le richieste ai competenti uffici comunali e a ore il nuovo Piano dovrebbe essere licenziato. Una volta scoperto quali spazi avremo a disposizione, potremmo così organizzare l’attività dei gruppi ed informarvi fin da subito sugli orari di allenamento.
La seconda è stata trovare una copertura assicurativa ai bimbi del baby basket (3-5 anni) visto che anche la prossima stagione la FIP non prevede di organizzare attività per questa fascia d’età. Abbiamo attivato un canale importante alla UISP, associazione nazionale storica che organizza moltissimi eventi per bimbi così piccoli, e abbiamo risolto il problema con loro: l’attività baby sarà svolta sotto l’ombrello della UISP per poi passare alla FIP quando i bambini avranno l’età minima (5 anni).
Infine l’attività più piacevole, l’organizzazione del materiale che indosseranno i nostri ragazzi e quello che servirà per le nostre lezioni: palloni, canestrini, coni, birilli, ostacoli e tutto quello che servirà. I preventivi sono arrivati, valutati ed aggiustati, l’ordine al fornitore è partito e quindi anche su questo potremo stare tranquilli. Ci saranno delle sorprese per voi nell’abbigliamento, abbiamo cercato di fare delle cose carine, durevoli ma soprattutto funzionali allo sport che andremo a fare.
Come vedete quest’anno niente ferie e niente riposo: si lavora come sempre per arrivare pronti a fine agosto in modo tale da partire senza affanni e con tutti gli adempimenti burocratici ed assicurativi espletati.
Intanto una cosa è certa: la nostra passione e il nostro entusiasmo ci stanno facendo fare questi necessari adempimenti con il sorriso sulle labbra; non oso immaginare quanto saremo motivati nel momento in cui andremo in palestra con i ragazzi. Perché quello è in fondo quello che vogliamo fare: stare con loro a lavorare e se avere questo privilegio significa rinunciare a qualcosa allora ne sarà valsa certamente la pena.
Estate al lavoro per un proficuo inverno in palestra: direi che si può fare, anzi si deve fare. Poteva andarci davvero peggio.

venerdì 22 luglio 2011

Mettiamo i puntini sulle i (parte prima)…



(Prima di passare al post odierno volevo ringraziare chi è venuto a visitare il mio blog, chi mi ha telefonato, chi mi ha chiesto semplicemente come stavo. Grazie a tutti. In 5 giorni "I motivi di una scelta" è stato il post più letto del blog, certamente non è piaciuto ad alcuni ma credo che sia evidente la mia totale buona fede e passione. Se ho sbagliato le ultime due righe mi ritengo fortunato su un totale di tre cartelle. Vi voglio bene e grazie per la presenza, discreta ma importante per me!)

In queste settimane ho letto e sentito tutto e il contrario di tutto. Sinceramente trovo fantastico questo ritrovato vigore ed attenzione a problematiche che tali, alla fine, poi non sono. Infatti, è la prima volta che si parla di queste cose. Ma siccome il mondo è bello perché è vario, mi sembra opportuno fare chiarezza su un punto. Perché alla fine raccontare mezze verità (senza l’altra metà) è sicuramente fuorviante ed insinuare dubbi gratuiti è peggio.
Parliamo del famoso tesseramento, madre, pare, di tutte le scelte che una famiglia deve compiere in una estate, valutazione talmente complessa e difficile che in confronto quella della scuola in cui iscrivere il proprio figlio è nulla.
Ho letto che tale scelta è effettiva e definitiva, che fino a 21 anni sì è vincolati e quindi bisogna valutare la futuribilità dell’opzione che si intraprende e tutta la filosofia conseguente a questo modo di ragionare. Sono balzato sulla sedia quando l’ho sentito, perché penso che nella vita di effettivo e definitivo ci sia solo la morte, in un mondo in cui i vincoli e i legami, purtroppo, sono sempre più blandi. Ho pensato: ma se ormai anche i matrimoni arrivano al capolinea in fretta e furia questo tesseramento va veramente così oltre? Lega davvero così tanto?
Siccome mi occupo di minibasket e queste storie burocratiche non mi hanno mai infervorato (o meglio le seguivo quando giocavo) sono risalito alla fonte e mi sono andato a leggere e studiare (da bravo maestrino) il Regolamento Esecutivo della FIP, documento pubblico e scaricabile dal sito http://www.fip.it/public/42/4441/re_tesseramento.pdf che tratta proprio le problematiche del tesseramento.
È interessante leggere tale prospetto perché dalla sua comprensione si vede come quello scritto sopra sia in effetti una mezza verità. Partiamo dall’origine: il tesseramento viene fatto a partire dal 12° anno di età per tutelare Società di appartenenza e giocatore. Non solo la prima, come viene spesso detto. Infatti, il credo dominante nel nostro sport è che le Società siano belle e buone (e quindi da tutelare) mentre i giocatori (e gli allenatori) siano dei mercenari pronti a saltare il fosso ogni due per quattro. Invece il documento della FIP chiarisce molti punti e tutela anche i giocatori (e fino al 18° anno le famiglie, che devono firmare sempre la documentazione). Il tesseramento è garanzia per i ragazzi di avere a disposizione una società che li faccia giocare, prevedendo, se ciò non fosse, la possibilità di svincolo in caso di non utilizzo (art. 16) ed imponendo dei limiti alle Società che non possono far girare gli atleti a loro piacimento (art. 6, limitazioni alle operazioni di tesseramento, due al massimo ogni anno).
Il tesseramento vale un anno, questo sia chiaro. Al termine della stagione cosa succede?
La Società di appartenenza ha a disposizione alcune opzioni che ora andiamo ad analizzare.
La prima è il rinnovo d’autorità (art. 9). Cioè un atto unilaterale in cui rinnova, con una apposita procedura on line il tesseramento. Questo procedimento è una sorta di garanzia per la Società di poter continuare ad investire nel tempo sulla crescita tecnica dei propri tesserati.
La seconda strada è quello del trasferimento. Cioè una Società trasferisce ad un’altra il tesseramento dell’atleta che quindi può andare a giocare dove meglio crede, scelta non più unilaterale, ma accordo tra più parti (società A, società B, atleta e famiglia dell’atleta) (art. 13).
La terza è quella del prestito. Cioè la Società A presta l’atleta alla B ma al termine dell’anno l’atleta torna alla casa madre. Strada percorsa nei campionati professionistici, di norma, dove durante le aperture delle finestre di mercato si vedono prestiti in quantità copiosa. (art. 14).
La quarta strada è quella del non rinnovo, volgarmente detta svincolo. All’art. 9 dice chiaramente che: “l’atleta non rinnovato (d’autorità, nda) ha diritto di richiedere il nuovo tesseramento a favore di qualsiasi società nei tempi e nei modi stabiliti dalle Disposizioni Organizzative Annuali”. Già a questo punto mi sembra che la scelta non sia effettiva e definitiva, ma che invece si apra un ventaglio di opzioni (almeno 3 su 4), a patto che la Società con la quale ci si è tesserati abbia la capacità di tenere sempre presenti i propri interessi (formare giocatori), ma anche e soprattutto il bene dei propri atleti (riconoscere cioè che a volte un trasferimento o un prestito sono meglio che far “morire tecnicamente” un giovane talento in una realtà amatoriale)
Gli art. 15 e 16 sono altresì interessanti per i giocatori perché disciplinano le opzioni a loro favore in caso di mancata iscrizione della squadra, fallimento e la mancata utilizzazione.
Come si evince dalla “legge” attualmente in vigore, in ambito FIP e approvato dal CONI, ci sono ben 3 opzioni su 4 (trasferimento, prestito e non rinnovo) che danno la possibilità ai giocatori di cambiare squadra.
Raccontare solo della opzione numero uno è limitativo ed anche fuorviante. A meno che, come a volte purtroppo accade, non si voglia fare dell’inutile pressione sulle famiglie, oppure, peggio sarebbe, se si trattassero i ragazzi come di propria ed esclusiva proprietà da utilizzare magari in un futuro, quando più conviene, come merce di scambio.
Evidentemente chi pensa che il tesseramento sia un legame effettivo e definitivo o non ha la voglia per venire incontro ai ragazzi e alle loro famiglie oppure semplifica oltre modo una questione, che come abbiamo visto, invece, è molto più elastica di come viene dipinta.
Il vincolo è definitivo se lo si ritiene tale; se si usano le 3 opzioni sopra elencate non lo è. Anzi, avendole ben presenti, sono gli strumenti più idonei a fare crescere nell’ambiente migliore ed in armonia i ragazzi.
Per come la vedo:
Primo ed insindacabile dovere di ogni Società sportiva dovrebbe essere quello di garantire una crescita sociale ed educativa dei propri tesserati attraverso le regole, l’esempio ed un gruppo più omogeneo possibile. Secondo dovere della società resta quello di garantire ad eventuali ragazzi che spicchino per talento un contesto competitivo dove potersi esprimere valutando con attenzione ogni dettaglio ed indirizzando/consigliando il giovane e la propria famiglia verso la scelta più opportuna. In poche parole: se Michele Jordano è troppo forte per il campionato regionale e non ha la possibilità, allenandosi con i pari età della sua città, di migliorare come potrebbe, sarebbe giusto che valutasse di trasferirsi in una squadra più competitiva, magari più organizzata per “allevare talenti”, sempre tenendo in considerazione che magari si troverebbe a dover cambiare scuola, o a doversi organizzare per prendere il treno tutti i giorni e riuscire a rimanere in pari con gli studi.
Per l’altro verso se Andrea Serrino non riuscisse a stare al passo dei suoi compagni e il gruppo in cui è inserito divenisse molto più competitivo rispetto alle sue capacità con gli strumenti a disposizione si potrebbero scegliere percorsi a lui più congeniali. Tutto con il coinvolgimento del ragazzo e della famiglia nella più totale trasparenza.
Qualcuno li chiama sacrifici, qualcuno lo chiama “provarci”, in ogni caso si tratta di compiere delle scelte ed allenatori e dirigenti dovrebbero consigliare in maniera disinteressata (a livello personale) perché eccellere in uno sport e farne un mestiere è un privilegio per pochi, mentre diventare individui migliori grazie ai valori che solo lo sport sa trasmettere dovrebbe essere un diritto per tutti.
E Noi lo facciamo per Loro e a Loro (e alle Loro famiglie) dobbiamo rendere conto. Sempre.

lunedì 18 luglio 2011

I motivi di una scelta




Ormai è il segreto di Pulcinella: dopo 14 anni ho deciso di lasciare il Basket Ravenna. Quando un matrimonio finisce la colpa viene spesso data ad entrambi i coniugi ed anche in questo caso probabilmente è vero.
Dopo 14 anni da istruttore - allenatore e 7 come giocatore di cui 2 come capitano, 4 presidenze ed almeno 9 responsabili diversi di settore giovanile con cui ho collaborato, potrebbe essere anche solamente fisiologico cambiare aria. Ma non è questo il caso.
Nessuno è per sempre, figuriamoci i responsabili minibasket, ultima ruota del carro in una catena alimentare dove le risorse vanno tutte verso l’alto, leggi prima squadra. È così ovunque: dalla A alla B2 ed anche Ravenna non sfugge a questo diktat.
Non troverete mai scritta da me una sola parola sui patetici litigi, sulle mancanze reciproche; non vi racconterò di piatti tirati, suocere impiccione o dispetti di basso cabotaggio (giusto per rimanere in tema di divorzio coniugale). Non si sputa nel piatto dove si è mangiato, così come quando si è venditori non si parla mai male dei prodotti della concorrenza.
In questi giorni ho letto e sentito, da più parti, tutto ed il contrario di tutto. Ecco perché vi invito a continuare a leggere questo blog: nei prossimi post cercherò, infatti, di spiegare ancora una volta alcune cose (viste le mezze verità, o mezze bugie, oppure il fumo che viene venduto vedete voi) che sono trapelate, sembra, in nebulose riunioni.
Quello che voglio dirvi oggi è questo: nella mia vita ho avuto la fortuna di allenare diverse annate e squadre di categorie diverse. All’inizio atleti più grandi, alla fine di 5a elementare e 1a media. Di errori ne ho fatti tanti, e tanti ne farò, ma su una cosa non ho mai smesso di credere: il gruppo. La forza esclusiva e decisiva di un gruppo coeso di ragazzi. Tutte le squadre che ho allenato si sono dimostrate gruppi formidabili di amici che hanno continuato nel tempo a giocare insieme, a frequentarsi e a cercare di finire, se possibile, in classe insieme. Le annate 95, 97, 98, 99, 00 (i 96 non li ho avuti io) erano più o meno scarse, più o meno talentuose, ma cavolo che signori gruppi che erano! La regola (potete chiederla ai vostri figli) è sempre la stessa: mettere il proprio talento, di qualsiasi tipo, al servizio della squadra. In un gruppo, 1 più 1 non fa mai 2, ma 3, a volte anche 4. Ho sempre cercato di tenere tutti coinvolti (più pronti e meno pronti, più capaci e meno attenti, più atletici e meno coordinati), spesso riuscendoci: in una squadra vera c’è posto per tutti a patto che si sputi sangue e non manchi mai l’impegno. Dal mio minibasket sono sempre usciti gruppi coesi di 15-22 atleti senza bisogno di allenamenti di specializzazione o valutazione di futuribilità. Tutti sono futuribili e tutti possono ritagliarsi un ruolo importante.
Io ho sempre creduto in questo e di cazzate non ve ne ho mai raccontate.
In questo momento della mia carriera cestistica di istruttore nazionale, al termine di una stagione ottima dal punto di vista dei risultati, ma pessima da un punto di vista logistico - organizzativa, sono felice di aver trovato altri amici che condividono questo mio pensiero e che, in questi anni, mi hanno dimostrato di crederci davvero, con il loro lavoro quotidiano in palestra. Un conto è parlare e fare filosofia gratuita, un altro è dimostrare con i fatti cosa si intende. Parlo di Livio, che ha continuato a lavorare sui gruppi (e non solo sulle peculiarità tecniche di qualcuno forse futuribile) ed ha continuato a farli crescere, ma anche di tanti ragazzi e ragazze che inizieranno questa nuova avventura con me e che verranno presentati nelle prossime settimane.
Già, perché oltre ad allenatori che hanno dimostrato di crederci nel tempo e con il lavoro, ci sono anche due persone, due vecchi amici, due compagni di liceo, con cui è stato bello ritrovarsi dopo tanto (a dimostrazione, ragazzi miei, che le amicizie che costruite oggi ve le porterete dietro per sempre) e che hanno dimostrato di crederci ancora più di noi. Si tratta di Giovanni Poggiali (Proprietario) e Luca Minardi (Presidente) della Compagnia dell’Albero, società polisportiva che opera dal 1994 a Ravenna: una realtà che nel calcio e nel rugby si è già distinta per serietà, educazione e rispetto. Loro credono, come noi, nell’aspetto educativo della disciplina sportiva (che sia basket, rugby, calcio poco importa), nel tenere tutti coinvolti nel progetto, nel crescere gruppi di uomini rispettosi ed educati.
Il sodalizio, a questo punto, era inevitabile: la sezione basket aprirà a fine agosto, mentre durante l’estate verranno sistemati tutti gli aspetti burocratici, assicurativi e organizzativi.
Livio sarà il Responsabile del Settore Giovanile, io il Responsabile Minibasket: insieme alleneremo i gruppi più grandi (99-00-01), perché visti i chiari di luna in Finanziaria, non so quanto la scuola pubblica avrà bisogno di me. Sono e rimarrò un istruttore, morirò in palestra con i vostri figli, questo sia chiaro.
Io e Livio qualcosa di buono insieme, in questi tre anni, lo abbiamo combinato e abbiamo ritenuto opportuno continuare il nostro progetto, quello in cui crediamo, per Ravenna, i ragazzi di Ravenna e le famiglie che si meritano il meglio.
Nella nuova sede si possono trovare tante coppe: ottavo classificato, nono posto, ma soprattutto Premi Fair Play. Perché le cose bisogna dirle chiaramente: su 100 bambini che iniziano il loro percorso solo 1, forse, troverà il proprio mestiere nello sport che ha scelto di praticare. Della mia generazione (parlo di 5-6 annate per un totale di 200 ragazzini di belle speranze) solo io (1 su 200) ha visto la propria vita cambiare stando in palestra, ma non come giocatore (ero troppo scarso) bensì come istruttore. La cosa che deve rimanere ed è il motivo per cui si tende a “tenere” tutti nel gruppo, invece, è un’altra: questi ragazzi si devono ricordare di questi anni come di un periodo bellissimo, in cui hanno dato il massimo e sono stati ripagati con divertimento e soddisfazioni. Poi se non diventeranno giocatori o allenatori (oppure arbitri o dirigenti), ma piuttosto ingegneri, attraverso l’educazione dello sport saranno sicuramente ingegneri migliori.
Io credo in questo, gli altri credono in questo, la Compagnia dell’Albero crede in questo.
A fine agosto si ricomincerà, come sempre, ancora più convinti nel nostro progetto educativo, che è quello della sezione basket della Compagnia dell’Albero.
Chi ci ama ci segua: promettiamo solo lavoro e tanto divertimento. E quello che abbiamo promesso, l’abbiamo sempre mantenuto. Questo è innegabile.
Se credete di essere fenomeni rimanete dove siete, se volete lavorare e continuare a divertirvi con chi vi ha seguito finora saprete presto dove trovarci.

lunedì 11 luglio 2011

Da casa Alessandri il mio contributo al dibattito....

Ebbene sì, mi avete beccato!
Ieri ero a pranzo a casa Alessandri (madre di Federico, playmaker del 99) e del suo compagno Giampaolo Tassinari (padre di Ester e Beniamino, altri due con il virus del basket). Al di là dell'ottino aspetto culinario e dei dovuti ringraziamenti (se ci trattate sempre cos' poi torniamo...) la cosa più incredibile del pomeriggio (dove fra gin olandese, sangiovese, grappa, caffè ed ammazzacaffè si è parlato di qualsiasi cosa) è stato il dibattito sul ruolo educativo del basket e del rugby.
Vi sembrerà strano ma io sto con il rugby.
E ora proviamo a spiegare il perchè.
Io credo che per un bambino di 6-12 anni siano due sport che valgano entrambi la pena di provare. E, giusto per tirarmela un po', credo che siano gli unici che valgano la pena a provare a questa età. Troppo statico il volley, troppo diseducativo il calcio, troppo individualisti nuoto, tennis, arti marziali e danze varie. Premessa quindi la grandezza degli sport di squadra, si arriva al ballottaggio fra rugby e basket.
Diciamo subito che è una vittoria, a mio modestissimo parere, per il rugby al fotofinish.
Il basket ha un impatto più immediato sul bambino, è più semplice, ha meno regole e si gioca al chiuso (per alcuni un vantaggio per altri uno svantaggio). Il rugby ti prende dopo, piano piano, man mano che ne comprendi le peculiarità. E' più complesso, si gioca in spazi enormi per un bambino, ma ha una cosa che nessun altro sport ha. Si DEVE passare la palla indietro. E questa semplice regoletta racchiude una valenza educativa unica ed esemplare. Mi devo fidare dei compagni per forza, se vogliamo andare in metà dobbiamo stare uniti,se un mio compagno viene placcato lo devo sostenere, mi passa l'ovale e ricominciamo. Fin da subito è uno sport di squadra. Invece il basket, che amo tantissimo, non ha questo aspetto: anzi, il nostro ruolo di istruttori è proprio quello di fare capire ai bambini che non si gioca 1 contro 5 ma 5 contro 5. Cosa che nel rugby non viene fatta perchè già implicita ne gioco. E' un discorso di lana caprina, ma nell'ipotetico ballottaggio rugby va al 51 e basket al 49.
Nel basket capita che LeBron James si alzi da metà campo tiri e faccia a canestro. Nel rugby uno così a metà campo non riuscirebbe ad andare in meta e non riuscirebbe a giocare da solo.
Fra due ottimi sport di squadra il rugby ha una marcia in più, grazie alla regolina della palla all'indietro.
Comunque grazie mille alla famiglia Alessandri-Tassinari, prometto di imparare le regole del baseball e l'invito per i mondiali di Rugby è sempre valido. Anche per il Tri Nations, se Giampaolo vuole vedere i nostri amati Bokkies!

domenica 3 luglio 2011

Che soddisfazione per Cintone!




Anche quest'anno lo Junior Basket Ravenna piazza un proprio giocatore al Jamboree estivo dedicato ai migliori esordienti. Se lo scorso anno la soddisfazione toccò ad Alessandro Mazzotti, il mitico Biondo del 98, quest'anno sarà Francesco Cinti a rappresentare la nostra squadra dal 21 al 24 luglio a Cividale del Friuli.
Per Francesco la soddisfazione di rappresentare il gruppo del 99 che finora ha fatto bene in ogni competizione. Lui ed altri 5 ragazzi provenienti dall'Emilia Romagna sfideranno in partite 3c3 le squadre delle altre regioni, dove vinceranno quelli che faranno più canestri ma anche quelli che si comporteranno meglio fuori dal campo.
Una formula quella del Jamboree pensata apposta per massimizzare la valenza educativa e formativa dello sport con riconoscimenti sia per i più talentuosi ma anche per quelli più disciplinati.
A Cintone due raccomandazioni: la prima è quella di salutare quella sagoma del suo coach Marco Merli, che ho conosciuto in occasione del Corso da Istruttore Nazionale, persona competente e preparata; la seconda è quella di divertirsi!